Come raddoppiare la speranza di vita in un secolo: i vaccini.

Oggi è il Vax Day in Italia e in molti altri paesi, un giorno che passerà alla storia, che sarà forse l’inizio della fine di una situazione per noi a dir poco anomala. Chi mai si sarebbe aspettato di finire in quarantena da un momento all’altro? Infatti nel mondo occidentale, nel giro di meno di un secolo e direi piuttosto recentemente, si è riusciti a sconfiggere quasi completamente le malattie infettive, principale causa di morte per millenni. 

Qui viene mostrato il “crude death rate”, tasso generico di mortalità (CDR), che ci dice quante persone muoiono ogni mille abitanti in un determinato anno. Per esempio, nel 1750, in Svezia, morivano 27 persone ogni 1000 abitanti.

Cosa descrive questo grafico?

(Sull’asse verticale è rappresentato il numero di morti ogni mille abitanti in un anno, sull’asse orizzontale l’anno di riferimento).

Prima del XX secolo si assisteva ad enormi ondate di mortalità, causate dalle epidemie, che andarono man mano ad attenuarsi grazie al continuo miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie. Un interessante spunto di riflessione risiede nel picco di mortalità corrispondente alla diffusione dell’Influenza Spagnola del 1918, ricordata tutt’oggi come una delle pandemie più catastrofiche della storia contemporanea. Lascio a voi il paragone con i picchi a sinistra del grafico, che simboleggiano l’impatto di epidemie e carestie in un periodo in cui la vaccinazione ancora non esisteva e con condizioni igieniche scarsissime.

Un’altra particolarità interessante è la debole risalita del crude death rate dal 1960 circa in poi, in concomitanza con lo sviluppo di vaccini essenziali come quello per il morbillo. Fermo subito gli scettici; se pensate che questa risalita possa essere ricondotta all’introduzione dei vaccini siete totalmente fuori strada, difatti in questo periodo assistiamo ad una “transizione della mortalità” ben rappresentata da quest’altro grafico in basso.

(Sull’asse orizzontale abbiamo gli anni, su quello verticale il numero percentuale di morti legati a quella determinata malattia).

L’aumento del CDR (crude death rate) è solo conseguenza del fatto che il CDR è una misura grossolana, che risulta influenzata dall’invecchiamento della popolazione, dovuto essenzialmente al declino della fecondità. Difatti se oggi le persone hanno smesso di morire di morbillo, hanno iniziato a morire sempre più frequentemente per altre patologie, su tutte hanno avuto un incremento spaventoso le neoplasie (tumori), dovute alle cattive abitudini e all’inquinamento. Le principali cause di decesso, dunque, da prima della rivoluzione industriale (convenzionalmente 1750), ossia pestilenza e carestie, sono state sostituite in breve tempo da malattie degenerative e cardiovascolari.

Ma questo è valido per tutte le parti del mondo?

Assolutamente no; prendiamo in considerazione una delle malattie infettive più famose e tra le più contagiose di sempre, il morbillo. In Italia, nel 2018, tra il 1 gennaio e il 30 novembre, sono stati segnalati 2427 casi di morbillo di cui 8 terminati col decesso, facendo risultare un tasso di mortalità dello 0,32%.
Nella Repubblica Democratica del Congo nello stesso anno ma in un lasso di tempo più ridotto (da gennaio ad ottobre) sono stati riscontrati 203.179 casi di morbillo, di cui 2143 fatali, il 90% dei decessi rappresentato da bambini con meno di 5 anni.

Numeri di tutt’altro genere, se consideriamo anche che i bambini hanno molta più probabilità di sopravvivere al morbillo rispetto agli adulti, che, nei dati, muoiono di meno solo per aver già contratto il morbillo in giovane età o perché vaccinati (grafico in basso).

Sull’asse verticale la probabilità da 0 a 1 (dove 1:100%) di morire in caso di contrazione del morbillo; sull’asse orizzontale l’età.

La Repubblica Democratica del Congo ha circa 40 milioni di abitanti in più rispetto all’Italia, ma di certo non è questa la discriminante che giustifica tali differenze nei dati (peraltro relativamente attendibili a causa della scarsità di strutture adeguate in Africa). Per far “estinguere” questa terribile malattia servirebbe vaccinare almeno il 95% della popolazione, ad oggi nel mondo siamo in media all’85%, prendendo i casi di Italia e Congo la copertura è rispettivamente del 94,5% e del 57%. Differenze che fanno riflettere. Peraltro il costo di un vaccino si aggira intorno ai 17 centesimi, una cifra da noi irrisoria, ma sicuramente non così tanto irrisoria nelle zone dell’Africa Subsahariana, dove il reddito pro-capite medio si aggira sui $1590 annui (in Italia è $34.483 annui).

Riguardo alla copertura necessaria a far scomparire le malattie infettive, quello del morbillo è  un esempio piuttosto estremo, stiamo difatti parlando di una delle malattie più contagiose in assoluto, con un R0 stimato che va da 12 a 18. Cosa significa? Significa che un contagiato, in ambiente completamente suscettibile alla malattia (senza immunizzati), in una sua giornata tipica di interazioni sociali può arrivare a contagiare, in media, dalle 12 alle 18 persone. Questo dato è particolarmente importante da conoscere perché più è alto Rt, più copertura vaccinale sarà necessaria.

Prendiamo altri esempi di malattie infettive trasmissibili da uomo a uomo.
La rosolia ha un R0 stimato pari a 8, la copertura vaccinale necessaria è dell’87,5% della popolazione.
L’influenza pandemica (classica febbre stagionale) ha genericamente un R0 stimato pari a 2, copertura vaccinale necessaria del 50%.

Il grafico qui sotto spiega quali dovrebbero essere le percentuali di bambini vaccinati alla nascita in funzione di R0. Osservandolo, in prossimità di R0=5, dovrà essere vaccinato almeno l’80% dei nuovi nati.
Attualmente la rosolia ha una copertura vaccinale dell’87%, molto vicina a quella desiderata. Va anche detto che, in questo modello ideale, il vaccino ha un’efficacia del 100%. Se l’efficacia dovesse essere inferiore, dovrà aumentare la percentuale di bambini da vaccinare.

Queste osservazioni dovrebbero farci capire che la battaglia contro le malattie infettive non è stata ancora vinta, soprattutto nelle zone più povere del mondo e, data la facilità con cui vi sono spostamenti oggi, pensare che questo non sia un problema degli occidentali non solo è fortemente egoista ma anche pericoloso per la popolazione occidentale stessa (il Covid-19 insegna).

Un altro aspetto, spesso ignorato, è la presenza di tutte quelle persone che purtroppo non possono permettersi la vaccinazione a causa di carenze del sistema immunitario (immunodepressi); non potendosi difendere come tutti gli altri dalle malattie infettive, devono sperare nel raggiungimento dell’immunità di gregge. Dunque proteggersi per proteggere.

Questi pochi ma significativi dati che ho mostrato, dovrebbero far capire quanto possano incidere i vaccini e le condizioni igieniche sui tassi di mortalità e sulla speranza di vita attesa.

Concludo mostrandovi un ultimo grafico (sopra), che mostra l’evoluzione della speranza di vita attesa in Italia a partire dal 1900.

Oggi nell’Africa Subsahariana la speranza di vita attesa si aggira intorno ai 60 anni, più o meno la stessa che si verificava in Italia nell’immediato Dopoguerra, in quello che ai tempi era un paese devastato e prima dell’introduzione della vaccinazione obbligatoria per tutti (1968). Inoltre, i dati raccolti indicano che, nel mondo, stanno cambiando le cause responsabili della morte prematura della popolazione. Infatti, in 22 Paesi africani, il 70% o più di anni di vita persi (a causa di morti premature) sono riconducibili a malattie infettive e alle patologie correlate. In 47 Paesi (per lo più ad alto reddito) oltre il 90% degli anni di vita persi è riconducibile a malattie croniche e incidenti. Questo per rimarcare l’incidenza delle vaccinazioni e della prevenzione da malattie come malaria, HIV/AIDS, morbillo, tubercolosi, ebola, etc., che ogni anno nel mondo provocano milioni di morti.

Gabriele Gentili.

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