Evoluzione delle identità politiche.

Nonostante oggi l’attività politica si manifesti attraverso canali sempre più variegati, la partecipazione democratica si esprime nella sua più classica delle definizioni attraverso i partiti politici, condividendo con un determinato gruppo di persone un’ identità collettiva.
Esiste chiaramente un processo razionale che collega un certo partito a una certa identità e ci permette di capire a quale identità sembriamo appartenere, ma condividere un’identità con un gruppo è anche una questione di emozioni, di “fraternitè”. Un’identità politica può emergere nel momento in cui un’identità sociale che sentiamo come nostra acquista una chiara rilevanza politica.

Nella forgiatura storica della cittadinanza democratica in Europa, due identità sociali hanno svolto un ruolo centrale, consentendo a milioni di persone di comprendere chi fossero politicamente: la classe sociale e la religione. Fino al XX secolo i diritti di cittadinanza erano quasi sempre limitati ai membri di certe fedi religiose, categorie etniche e ai rappresentanti di una certa classe economica. I gruppi esclusi si poterono mobilitare in supporto dei partiti e dei movimenti che lottavano per la loro inclusione. Se le identità di partito sostenute da forti emozioni erano state fonti di divisione estrema e di conflitto civile, divennero poi i pilastri della democrazia. In generale i conflitti di classe e religione sono stati contenuti nelle regole della competizione elettorale e gestiti attraverso un discorso razionale, mentre le forti identità partiti-che che erano state forgiate nelle lotte precedenti hanno continuato a rendere emotivamente significativa la partecipazione elettorale, assicurando la vivacità delle istituzioni democratiche accanto alla loro stabilità.


Nello scenario odierno la democrazia ha visto diminuire la carica emotiva che un tempo l’aveva sostenuta, e la politica, come conseguenza dell’impostazione neoliberista di sovranità del calcolo razionale dell’interesse personale, è divenuta, o perlomeno è percepita come, sempre più tecnocratica. Tra le poche identità sociali che possono ancora avere un significato politico e susci-tare forti emozioni vi è la nazione. Alcuni leader politici, frustrati dal divario che si apre tra loro e i loro elettori a causa della forma tecnocratica assunta dalla politica, hanno l’intenzione di cogliere le opportunità che questa situazione rappresenta: porre l’accento sull’autonomia e sulla sovranità nazionale piuttosto che sulla cooperazione è un modo per gli imprenditori politici di plasmare, politicizzare e brandire le identità sociali per riempire il vuoto lasciato dal declino di quelle che hanno forgiato la democrazia del XX secolo. Tuttavia, la rinascita del nazionalismo ci impedisce di fare progressi nella sfida più importante da governare, sollevata dalla globalizzazione: la necessità di una democrazia al di là dello Stato-nazione. Il ritorno a un mondo di economie nazionali sovrane e isolate, di paesi i cui cittadini hanno poco contatto con chi vive oltre i loro confini, non è possibile né desiderabile. Se la democrazia resta compressa sul piano nazionale mentre le grandi società regolano l’economia globale e la comunicazione tra le persone, le popolazioni che lavorano sia nei paesi avanzati che in quelli in via di sviluppo continueranno a patire le conseguenze negative della globalizzazione.


Un mondo globalizzato ha bisogno di cittadini a proprio agio con una varietà di identità stratificate: dobbiamo essere in grado di provare sentimenti di identificazione e lealtà di varia forza- verso la nostra comunità locale, il nostro villaggio o la nostra città, la nostra regione, il nostro paese, la nostra regione del mondo, la nostra comune umanità – e fare in modo che si nutrano e fortifichino a vicenda senza restare intrappolati in un conflitto a somma zero, imparando a sentirci a nostro agio con identità multilivello e operando politicamente a ognuno di essi.

Citazioni dal libro “identità perdute”, Colin Crouch, 2019.

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