Media e verità

L’uso dei social media ha rivoluzionato completamente il modo in cui le informazioni sono ora condivise e utilizzate, e ad oggi è una parte rilevante delle agenzie e delle aziende governative. I social media hanno dato ai loro utenti la possibilità di condividere contenuti e opinioni senza dover dipendere da mezzi di informazione tradizionali e centralizzati, ottenendo potenzialmente una distribuzione più democratica delle opinioni, offrendo all’utente la possibilità di raggiungere un’ampia percentuale della popolazione. Infatti, nelle società democratiche, i media sono diventati il luogo di aspre lotte per influenza e potere, delle quali alcune delle principali questioni sono il controllo dello spazio pubblico.

Per cogliere il ruolo dei media e la loro influenza sulle società democratiche, è importante guardare a tre livelli. Innanzitutto, quello dei circuiti economici, dei meccanismi di potere e delle procedure di controllo che stabiliscono strategie per catturare e manipolare le opinioni. In secondo luogo, quello correttamente mediologico, ovvero come il veicolo o lo strumento multimediale trasforma il contenuto che viene comunicato. In altre parole, i media non lasciano intatto ciò che trasmettono: lo selezionano, lo modificano, lo trasformano, e questo in tutti i settori della società, della politica ma anche della cultura (scienza, letteratura, filosofia, ecc.) (McCombs, 2020). Ciò rimanda alla teoria della coltivazione, elaborata originariamente a fine anni Sessanta da George Gerbner e successivamente da altri studiosi della Scuola di Francoforte. La teoria della coltivazione suggerisce che l’intero sistema di valori fatto di ideologie, presupposti, credenze, immagini e prospettive sia formulato, in grande misura, dalla televisione (Baldi, 2018). Infine, il terzo livello è quello della seduzione del pubblico: i media svolgono un ruolo importante nel definire i modi di pensare, determinando in gran parte idee, abitudini e costumi. Gli algoritmi che modellano ciò che vediamo sui social media in genere promuovono contenuti che generano il maggior coinvolgimento. Questo modello è in parte responsabile della diffusione della disinformazione e del sensazionalismo online, poiché i contenuti scioccanti o carichi di emozioni sono particolarmente utili per attirare l’attenzione delle persone. Si può parlare, quindi, di post-verità.

Nell’Enciclopedia online Treccani, alla voce “post-verità”, si legge: «argomentazione, caratterizzata da un forte appello all’emotività, che basandosi su credenze diffuse e non su fatti verificati tende a essere accettata come veritiera, influenzando l’opinione pubblica». Di conseguenza, si può dedurre attraverso l’affermazione di Lorusso (2018) che «le fonti istituzionali (cioè mediche) sono messe sullo stesso piano delle fonti casuali […] e così si genera un regime confusivo in cui molte verità diverse convivono nello stesso spazio pubblico senza particolari segni di distinzioni».

La proliferazione di tutte le informazioni destinate a trarre in inganno il pubblico fa dire ad alcune persone, ed in particolare ai giornalisti che hanno reso popolare queste espressioni, che siamo entrati in un’era di “post-verità” e “fatti alternativi”, in cui tutti e in particolare i politici annichilirebbero l’unicità della verità. La post-verità appare come un’area grigia in cui non sappiamo più se le cose siano vere o false. I media tradizionali si ritrovano in concorrenza con social network o siti Web che diffondono informazioni mirate e adattate alla sensibilità o agli interessi di ciascuno dei loro seguaci. Essi tendono quindi a chiudersi in “bolle cognitive”, dette echo chambers (spazi virtuali in cui tutti condividono lo stesso tipo di idee), promuovendo così una certa frammentazione dell’opinione pubblica e la rinascita di teorie cospirative (Lorusso, 2018).

Nei sistemi totalitari, la combinazione di ideologia e terrore si traduce nella costruzione sistematica e coerente di una serie di false idee che vanno a sostituire la realtà. Viceversa, nelle nostre democrazie, il pericolo sta piuttosto nella tendenza al relativismo del “tutto vale”. Possiamo quindi mettere in discussione ciò che Hannah Arendt (1967) chiamava «verità fattuali», cioè le verità storiche, gli eventi. La post-verità distacca i fatti dalla loro realtà oggettiva per trasformarli in opinioni contingenti che chiunque può ritenere “vere”. Insieme ai social network, il relativismo e l’orizzontalità delle fonti sostituiscono il monopolio giornalistico.

La difficoltà oggi sta in un sapiente equilibrio tra una sovrainformazione (con una molteplicità di fonti) e il mantenimento delle capacità di discernere e analizzare tra le informazioni spesso presentate come equivalenti. Questa sovrabbondanza deve combinarsi con la necessità di comprendere, decodificare e affinare la propria visione critica.

Bibliografia

Arendt, H. (1967). Verità e politica seguito da La conquista dello spazio e la statura
dell’uomo. In V. Sorrentino (Ed.). Torino: Bollati Boringhieri.

Baldi, B. (2018). #Opinione iMmediata. Opinione pubblica, post-verità e altre menzogne.
Pacini Editore

Gerbner, G. (1967). Mass Media and Human Communication Theory. New York.

Lorusso, A. M. (2018). Postverità. Editori Laterza.

McCombs, M. (22, giugno 2020). The Agenda-setting role of the mass media in the
shaping of public opinion. Mass Media Economics. Retrieved luglio 2020, from
http://sticerd.Ise.ac.uk/dps/extra/McCombs.pdf

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