Cosa si intende con discriminazione?
La definizione giuridica di discriminazione indica una disparità di trattamento delle persone sulla base di una caratteristica identificativa.
La discriminazione può riferirsi a qualsiasi tipo di atto o comportamento che distingue o individua le persone in base a fattori quali età, sesso, razza, origine nazionale, orientamento sessuale e identità di genere.
Le principali forme di discriminazione discusse in riferimento alla comunità LGBTQ+ sono quelle basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Tuttavia, le persone LGBTQ+ possono anche subire discriminazioni a causa di altri identificatori, come il colore della pelle, l’origine nazionale o le proprie capacità.
La discriminazione può presentarsi in molte forme e verificarsi in una varietà di contesti. Dal posto di lavoro, allo studio del medico, al supermercato, ma anche in famiglia; qualsiasi contesto che preveda il contatto con un’altra persona può diventare un luogo di discriminazione.
In che modo la discriminazione colpisce gli individui LGBTQ+?
L’impatto della discriminazione contro la comunità LGBTQ+ può includere effetti su:
- salute fisica
- salute mentale e psicologica
- formazione scolastica
- occupazione
- stato abitativo
- trattamento in contesti pubblici e sociali
- sicurezza economica
Combattere efficacemente il mancato rispetto di diritti fondamentali richiede, in primo luogo, un vero impegno politico per la tutela dei principi di uguaglianza di trattamento e non discriminazione.
I leader politici dovrebbero prendere una posizione ferma, sia a livello europeo che nazionale, contro omofobia e transfobia, contribuendo così a uno sviluppo positivo di atteggiamenti e comportamenti nei confronti della comunità LGBTQ+.
Il principio della parità di trattamento è un valore fondamentale dell’Unione europea, di cui la Carta dei diritti fondamentali è il primo strumento internazionale sui diritti umani che vieta discriminazione esplicita basata sull’orientamento sessuale.
Troppo tempo per raggiungere la difesa dei diritti
La prima proposta di legge contro le discriminazioni di genere fu presentata nel 1996 da Nichi Vendola, allora esponente di Rifondazione Comunista. Dieci anni dopo sono arrivate anche le raccomandazioni del Parlamento europeo, ma l’Italia è ancora a un punto fermo.
Un piccolo passo avanti nella precedente legislatura si è realizzato quando il testo è stato approvato alla Camera e poi, tuttavia, si è arenato in Senato. Ora, a riprovarci è stato il deputato Alessandro Zan, primo firmatario del disegno di legge che, secondo una prima bozza del testo, mira a uniformare e unificare cinque precedenti proposte sullo stesso tema (Boldrini, Zan, Scalfarotto, Perantoni, Bartolozzi). Un indice dell’urgenza di approvare questa legge è il fatto che lo stesso Zan abbia ricevuto insulti sui social, ordinandogli di ritirarla.
Il ddl Zan
La legge Zan dovrebbe consentire di punire più severamente la violenza per motivi di orientamento sessuale o identità di genere – oltre alla discriminazione di tipo razziale, etnico e religioso – e di penalizzare l’incitamento all’emarginazione o la sua difesa. Le pene possono arrivare fino a 4 anni di reclusione. La legislazione dovrebbe anche garantire lo status nazionale alla Giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia e rafforzare le politiche per prevenire e combattere questi fenomeni.
Come possiamo far rispettare i nostri diritti se non diamo voce a quelli altrui, se anche certi esponenti politici sono i primi ad affossare ciò che dovrebbe essere dato per scontato e istigare all’odio?
Il cambiamento riparta da questa legge.