A luglio 2020 è stata pubblicato una ricerca dal titolo “Covid-19, work productivity and job satisfaction: implications for dual-career parents working from home“: scritta dai ricercatori Zhiyu Feng (Cina) e Krishna Savani (Singapore), è stata presentata come un’indagine avente lo scopo di indagare i cambiamenti nella percezione della soddisfazione e produttività sul luogo di lavoro, con particolare attenzione a un eventuale divario di genere (o gender gap).
Un divario effettivamente presente. O forse no.
Il gender gap, lo sappiamo, c’è, esiste, ed è presente sia nei luoghi di lavoro che a casa, sfortunatamente da molto tempo prima che la pandemia cambiasse le nostre abitudini.
Negli uffici, le donne sono poco rappresentate in posizioni di leadership, vengono pagate meno e ricevono meno promozioni rispetto agli uomini. A casa, spendono più tempo a occuparsi di faccende domestiche e di eventuali figli rispetto ai partner di genere maschile.
Potremmo immaginare, logicamente, che da questo panorama derivi una minore produttività e soddisfazione sul luogo di lavoro. Ebbene non è così: dalle ricerche precedenti a marzo 2020, emerge che le donne ricevono aiuti da strutture esterne come asili nido e tate private, che gli permettono di occuparsi della casa e delle responsabilità familiari senza togliere tempo alla propria professione. Non solo: in molti casi, lavorando lo stesso monte ore degli uomini, realizzano maggiore lavoro, sacrificando però il proprio tempo libero (sempre perché ne dedicano altro ad occuparsi degli “obblighi domestici”). Insomma, non se la passano bene, ma alla fine della giornata sono “soddisfatte”.
Un cambio di rotta
Con il Covid-19, c’è stato un cambiamento. I ricercatori lo avevano previsto: lockdown generali, lavoro da remoto, educazione dei più piccoli spostata online. Ristoranti chiusi, quindi pranzi a casa. Tutto questo significa maggiore lavoro domestico, spese più grosse, cucine più sporche. E maggiore attenzione all’istruzione dei propri figli, che viene (giustamente) richiesta durante quello che sarebbe orario di lavoro.
Il risultato? Il burnout genitoriale è stato un effetto spontaneo e diremmo legittimo.
Una svolta negativa, ma solo per un sesso
Fermiamoci un attimo: parliamo di burnout “genitoriale”. Stiamo forse implicando che la responsabilità di questo lavoro domestico aggiunto è caduto allo stesso modo su entrambi i genitori? O stai pensando che si sia caricato sulle spalle delle donne? Mi dispiace dirlo, pensi bene tu.
La studiosa di relazioni familiari Stephanie Coontz ha dichiarato che da centinaia di anni siamo educati ad aspettarci che sia la donna a prendersi il peso delle responsabilità domestiche, senza nemmeno discuterne. Il Covid-19 quindi non ha fatto nulla di nuovo, ha semplicemente portato a galla un problema che c’è già. Da tempo.
Tutto fila con le teorie dei ruoli di genere: la società definisce il ruolo genitoriale e familiare come centrale solo nella costruzione identitaria della donna, non dell’uomo.
Ma torniamo a noi: lo studio pubblicato a luglio 2020 dichiara che se in circostanze “normali”, pre-pandemiche, la donna gestiva senza problemi un carico maggiore di responsabilità familiari, a seguito del virus dilagato nell’ultimo anno, questa non è riuscita (e non gliene facciamo una colpa). Ed è qui che il gender gap nella produttività e soddisfazione sul lavoro si presenta: per la prima volta dopo anni le donne percepiscono di essere meno attente e efficienti sul lavoro.
È un limite del sesso femminile? Proprio no. È sintomo di un sistema del lavoro che non prevede stessi diritti e doveri ad entrambi i generi? Proprio sì.
Possibili soluzioni
Non ci dilungheremo parlando di una riforma totale del lavoro. Chiudiamo con due soluzioni che potrebbero essere efficaci nella situazione di emergenza sanitaria attuale, e che, probabilmente, non si risolverà nel prossimo futuro. Per adattarsi al periodo, le organizzazioni dovrebbero predisporre una maggiore flessibilità nella gestione del lavoro, che permetterebbe di gestire vita familiare e lavorativa in parallelo, senza togliere tempo a nessuna delle due parti ed evitando un conflitto. Dovrebbe essere sistematico anche un maggiore supporto aziendale nella gestione di possibili figli: un esempio banale è l’asilo aziendale e la possibilità di lavorare da remoto in caso di necessità.